(da REPUBBLICA di Agnese Ananasso) PARLARE il linguaggio dei bambini per insegnare loro le regole e fargli fare quei piccoli gesti quotidiani che spesso rifiutano. Un’impresa per i genitori, che però hanno in mano uno strumento spesso sottovalutato: le favole. Un libro, Le fiabe per insegnare le regole – Un aiuto per grandi e piccini (Franco Angeli, 19 euro), aiuta i genitori a esplorare il mondo della fantasia per trasformare in un gioco i piccoli doveri quotidiani, dal lavarsi al fare la pappa, dall’andare a dormire ad allacciarsi la cintura di sicurezza in auto.

“Il bambino filtra il mondo attraverso un interlocutore principale, che in genere è la mamma. Tutti gli altri, compreso il padre, finiscono nell’universo delle ‘altre relazioni'” spiega l’autrice e psicologa Elisabetta Mauti, che ha anche un suo blog, Dillo con 1 fiaba. “Le storie contenute nel libro sono destinate ai bambini ma in verità sono per le madri che hanno così degli strumenti per far alzare il bambino al mattino, fargli lavare i denti, farsi la doccia. E molte delle favole nascono proprio dalla domanda delle mamme ‘come faccio a fargli fare questo senza capricci?'”.

Così nasce il pesciolino Nino per fare la doccia, la favola della bambina con le orecchie grandi che ha la mamma che urla troppo, quella dell’orologio a pendolo dello zio Alfonso per lavarsi i denti, quella della zia Berta per insegnare al piccolo a dormire da solo, quella di Pippirino per chi non vuole mangiare.

“Grazie alla fiaba, il gesto quotidiano diventa un rituale, che per il bambino è molto importante perché gli dà sicurezza e per la mamma è strategico per evitare continue lotte e capricci” continua Mauti. “La favola stessa diventa scansione del tempo: il tempo per fare la pappa, la nanna, la doccia. Finché il rituale non diventa abitudine e il bambino inizia piano piano a fare le cose da solo, raccontandosi la favola”.

Il mondo delle favole diventa il vocabolario della comunicazione tra adulti e bambini e anche un modo per affrontare argomenti poco piacevoli, come la paura del buio, la separazione dei genitori o la presenza di un familiare malato. Nell’ultimo capitolo, intitolato Favole per pensare, si affronta per esempio il tema del fratellino autistico con la storia di Tommaso e il bambino blu. “Il ruolo dei genitori non è sempre far capire tutto ma dare un nome a certe cose” continua l’autrice.

 “I bambini, dai 3 ai 6-8 anni, a cui sono indirizzate queste favole, sono curiosi, vogliono sapere, ma spesso non fanno domande perché preferiscono esplorare. Il ruolo del genitore è quello di guidarlo nell’esplorazione, far diventare abitudine la comunicazione, non il silenzio. Non bisogna aver paura della parola: i bambini dicono spesso cose apparentemente senza senso ma che invece nascondono un mondo in cui l’adulto deve sforzarsi di entrare. Le favole sono un terreno aperto di esplorazione di emozioni e ragione: il bambino all’inizio vive tutto sul piano emotivo, man mano che cresce diventa più razionale. In questa esplorazione il genitore deve stargli accanto, filtrando le emozioni negative, guidandolo nel superare le paure e nel convivere con le ferite emozionali”.